Anniversari
Ricordare o dimenticare Berlinguer

In occasione del trentennale della scomparsa di Enrico Berlinguer vi sono state testimonianze di una diffusa partecipazione emotiva. Si trattava sicuramente di un leader autorevole e significativo della storia italiana, capace di conquistarsi molti affetti con naturalezza. La sua scelta per politiche di solidarietà nazionale, fu poi un passo rilevante, tale da caratterizzare il partito comunista come un partito “diverso” rispetto agli altri omologhi europei. Anche in questo modo il Pci di Berlinguer contribuì positivamente a contenere e a sconfiggere, quel terrorismo armato che venne rivolto contro lo Stato democratico. Un merito autentici del leader comunista, frutto di un’elaborazione politica originalissima che si era vista già di fronte al golpe cileno. Questo non toglie una complessità di Berlinguer nei confronti del marxismo leninismo, all’epoca una questione seria. Lo stalinismo era stato ufficialmente archiviato dal 1956, ovvero da quando Crusciov regalava regioni e popolazioni russe a Stati che ne avevano subito le conseguenze. Il leninismo, invece, nel Pci era vivo, seppure non fosse affatto cosa distante dallo stalinismo. Inutile allora stare a dire cosa del leninismo si accettava e cosa no: solo il simbolo era sufficiente da esibire sulla porta di casa per impedire una evoluzione ulteriore. Poi è vero che Berlinguer denunciò la fine della spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre – ammesso che quella spinta non fosse servita a scatenare solo le forze della reazione nel 1920 – e si sentì più sicuro sotto la Nato che sotto la Cortina di Ferro. Ciò non toglie che la sua proposta, l’eurocomunismo, fosse debole, inadeguata e con il fiato corto. Per chi ne aveva seguito sempre con simpatia le mosse, una delusione. Oggi si ricorda volentieri, anche se magari un po’ approssivamente Berlinguer, ma alla fine del secolo scorso si cercò di dimenticarlo in fretta e magari dalle stesse pagine di giornali che spiegano quanto gli volessero bene. C’è una ragione ovviamente: quando un leader che di Berlinguer era considerato il pupillo ascese a Palazzo Chigi, questo si preoccupò di affermare che nella lunga contesa durata quasi un secolo fra socialisti e comunisti, erano i socialisti ad avere ragione: Craxi insomma, non Berlinguer. Il nostro senso deontologico ci impedisce di riferire di conversazioni private soprattutto quando coinvolgono i morti. E’ vero che Ugo La Malfa mostrò grande attenzione alla parabola del Pci di Berlinguer, ciò non toglie che il Pci di Berlinguer ostruì a La Malfa l’elezione alla presidenza della Repubblica e che egli concluse la sua vita politica da vicepresidente del consiglio di un governo Andreotti. I suoi presunti grandi estimatori ed amici di allora, pensate la stranezza, lo coprirono di improperi. I politici in vita vengono apprezzati solo quando vengono incontro alle nostre aspirazioni, nel ricordo invece, quelle aspirazioni prevalgono sulla stessa figura politica. Ad esempio, ricordare la questione morale di Berlinguer trascurandone l’austerità e il rigore, ne fanno un precursore di Mani Pulite e non un critico della fase espansiva del capitalismo. Una caricatura, più che un omaggio alla memoria, quella in cui tutto sommato rischiamo di imbatterci in questi giorni.